“Some years ago—never mind how long precisely—having little or no money in my purse, and nothing particular to interest me on shore, I thought I would sail about a little and see the watery part of the world. It is a way I have of driving off the spleen and regulating the circulation”.
funziona più o meno così, anche in assenza di mare. per regolare i disturbi della circolazione. o della malinconia, se si vuole.
[ma anche, e valga da contorto sinonimo, per soddisfare il bisogno di nocazzofacere].
avevo pensato di iniziare il viaggio dirigendomi, sabato, verso villa favorita o cerea. vinitaly si inaugura il giorno dopo. per motivi diversi sono solo e l’idea di andare in giro per il veneto da solo in auto per una volta mi sembra stupida. [non che io abbia qualcosa contro lo stare da soli. sono pur sempre un orso].
con l’albergo a peschiera già prenotato, mi dico: vattene al lago, sabato ci sarà il sole.
il treno è una soluzione comoda. ho la stazione a un chilometro in linea d’aria da casa. ci arrivo a piedi. mi siedo nella prenotata poltroncina. leggo. ascolto musica. penso ai casi miei. guardo di nascosto gli altri passeggeri.
il libro è una raccolta di racconti mediocri di uno scrittore italiano. troppo mediocri, scritti troppo male. passo alla musica, con le cuffie nelle orecchie e l’attenzione suddivisa tra le note [nuovi standard della musica: ordinary people], il compulsivo accavallamento di cosce della mia dirimpettaia [le calze, signora mia. aprile non è ancora il tempo degli shorts senza calze] e il paesaggio che scivola via sul finestrino.
un rapido cambio a milano, dove constato che la prima e la seconda classe di trenord sono la stessa cosa con colori diversi, e scendo a peschiera. è ora di pranzo, c’è il sole e un panino al baccalà mi aspetta. me ne aveva parlato diego. non ricordava il nome del locale. un posto piccolo, diceva, sulla strada, dove ci sono le fortificazioni, ci dovrebbero essere dei salumi appesi.
cerco, con il trolley al seguito, benedicendo mentalmente il preistorico inventore della ruota. cerco, giro, non trovo, cerco. ecco. salumi. trovo. chiedo. sì, lo facciamo. sì, è buono. sì, di molto.
da lì per arrivare all’albergo ci sono un paio di chilometri. cammino lungolago, scatto qualche foto. la giornata è ideale, per cui mi dico che lascerò i bagagli in camera e uscirò subito a fare un giro.
mi dico.
dopo breve abluzione, mi butto sul letto per almeno un’ora.
riprendo a girovagare, totalmente rincoglionito, solo a metà pomeriggio. aspetto il tramonto seduto al tavolo di una birreria, all’aperto. abbandonati i mediocri racconti, attacco un romanzo americano con l’appropriata parola solitudine nel titolo.
leggo. bevo una media. fredda e bionda.
ecco.
questo l’umore del sabato. poi arriva la domenica.
per il vinitaly preparo sempre un programma. ogni anno scelgo un filo conduttore o due per la visita, segnandomi nome e coordinate fieristiche di quanto mi interessa. lo faccio per risparmiare tempo. quest’anno il tema è toscano: brunello di montalcino e vernaccia di san gimignano. quest’anno, come ogni anno, il programma se ne va a fanciulle di facili costumi.
l’errore è stato quello di entrare quasi subito nel padiglione 8. non ne sono più uscito.
nel padiglione 8 c’è il vivit e c’è la fivi. banchetti piccolissimi in poco spazio, niente mega-stand. ma sono tanti. una densità umana che, insieme ai visitatori, raggiunge livelli da delirio omicida.
in questi giorni pre-pasquali gli eventi principali del vino in italia sono: vinitaly, villa favorita, cerea [c’è anche summa, ma è cosa diversa].
a villa favorita e a cerea ci sono i vignaioli naturali, a verona c’è un po’ di tutto. la differenza principale tra le prime due e la terza, io credo, è lo scopo che porta un produttore a scegliere dove esporre la sua mercanzia. quella di verona è una fiera con dichiarati intenti commerciali. ci si viene per fare contratti. per incontrare distributori, importatori, agenti. a villa favorita e a cerea il pubblico è per lo più un altro.
quest’anno, al diavolo il programma, devo curare quel problema di circolazione.
due giorni nel padiglione 8 e pazienza per vernaccia e brunello.
me li segno per l’anno prossimo.
a seguire qualche breve impressione. fugace e magari fallace, ché assaggiare in piedi questo mi permette e va bene così.
mi sono piaciuti tanti vini. davvero, mi sono stupito io per primo. non li citerò tutti.
ho girato con una macchina fotografica che non sapevo [non so] usare, prestatami dal primogenito [la mia era ferma ai box con problemi di sensore sporco e di obiettivo in blocco]. domenica con giacomo, lunedì per lo più da solo e poi con monica, angelone ed elisa.
il giallo di costa, timorasso macerato novanta giorni, dell’annata 2012 è uno dei migliori giallo di costa di daniele ricci. forse il migliore, ci devo pensare. lo devo ribere. più volte.
la caratteristica che apprezzo maggiormente dei vini di caves de pyrene è che sembrano provenire tutti da una stessa cantina. meglio, definiscono il gusto di chi li ha scelti, come se si trattasse di una singola persona. non so spiegarlo razionalmente, è un assioma che accetto. ed è per questo motivo che sono costretto a bere tutto quello che hanno portato a verona.
il loro slogan è sempre lo stesso, bello e condivisibile: less is more. ritrovo la abituale comunicazione ironica e intelligente [ricordate le filastrocche di sara porro?], quest’anno ispirata ai regimi comunisti [bellissima la bandiera con la scritta: la tierra es de quien la trabaja]. giada mi regala una spilla dove a lenin è sostituito il profilo di bucci: buccin. la metto subito.
innanzitutto le bolle. la prima è una inconsueta boule de roche di thierry germain, per il 95% chenin e per il resto cabernet franc. un gradino sopra, che ve lo dico a fare, stanno gli champagne. sul podio l’audace, brut nature di chardonnay e pinot nero, e il grain de celles [50% pinot nero e 25% a testa per chardonnay e pinot bianco], entrambi di pierre gerbais. senza dimenticare il granitico grand cru di marguet [2009].
l’evidenzia 2015 di clos lapiere, vino del jura composto di gros e petit manseng più un terzo vitigno che citerei volentieri se scrivessi con una calligrafia decifrabile.
le clos de tue’ boeuf 2015, forse il primo pineau d’aunis veramente buono tra quelli assaggiati finora.
il morgon cote du py 2015 di follard.
chiedo, ormai obnubilato dai fumi alcolici, cose che in realtà so già.
i produttori si lamentano perché devono sopportare domande stupide. vorrei vedere loro ad assaggiare cento vini in un giorno dicendo e chiedendo sempre e solo cose sensate.
– che rapporto avete con il vino naturale?
– naturale? e che significa? dovrei stare 365 giorni da te per controllare tutto quello che fai? i parametri del vino per me sono due: tipicità e digeribilità.
ecco gino in giro [yuck] con le stampelle.
come hai fatto a spaccarti, così e cosà e, insomma, sono cose che capitano.
– allora in bocca al lupo.
– crepi il lupo!
– si dice: viva il lupo.
– ma chissel’incula il lupo!
due pinot neri toscani che riconciliano con le tante interpretazioni fuori quadro in cui capita di imbattersi troppo spesso lungo la penisola.
il primo è quello che vincenzo tommasi produce nel suo podere della civettaja. un 2014. versione più scarica del solito, da annata frescolina. vale comunque e sempre la pena.
l’altro è il cuna, del podere santa felicita. questa volta 2013. stessa zona di produzione del civettaja, annata molto più equilibrata.
enrico togni, al banco con cinzia, mi placca mentre sto andando da bohnonmiricordo.
conosco bene i suoi rossi, nulla sapevo della bolla di barbera: ha fatto un metodo classico e lo ha chiamato attaccabrighe. millesimo 2014, 24 mesi sui lieviti.
poi il suo rosato, martina (2016), da uva erbanno, fresco e godibile.
andrà in commercio il 18 ottobre, che è il compleanno di martina.
mi ricorderò di farle gli auguri?
guido corino sorride sempre. è seduto al banco insieme alla sorella e pure lei sorride. assaggio nebbiolo e barbera, singolarmente o in blend. i vini di case corini, questo il nome dell’azienda, sono sempre spiazzanti.
– mi sembra di sentire un certo… residuo?
– può esserci.
vini imperfetti che apprezzo proprio per questo. mi danno uno spunto in più, anche in termini di vitalità, e restano bevibili. scelgo l’achille 2015, nebbiolo e barbera in parti uguali, equilibrato con un alcol che sa stare al suo posto.
in mezzo a tanti vini naturali l’organizzazione ha pensato di rifornire gli espositori con panini che sembrano [e forse sono] di plastica.
giulio armani è un uomo arguto. di lui non si può dire che abbia paura dell’acetica. direi, anzi, che è un tratto distintivo del suo operare. c’è chi storce il naso e anche io ho avuto qualche difficoltà con certe annate.
tuttavia.
la macchiona 2006 è un gran bere, una festa. tra quelle assaggiate [2002 e 2009] è la mia preferita.
poi l’ageno, bianco macerato da malvasia di candia, ortrugo e trebbiano. il 2010 è in stato di grazia. fresco, esuberante sia al naso che in bocca. profumi molto eleganti, con note aromatiche e di piante mediterranee e di frutta secca.
marilena barbera è sempre bella, anche per merito del suo parrucchiere parmense [per gli ortopedici, invece, da menfi preferisce spostarsi a varese]. ma qui non siano a un concorso, sotto con i vini.
la bambina 2016, rosato di nero d’avola: bevuto anche questo. [e sono due. che mai più si dica che li salto].
arémi 2015, catarratto superiore macerato [una settimana]. dopo la svinatura termina la fermentazione e poi riposa sulle fecce per tredici mesi.
ammàno #4 [2016] è vinificato in modo simile, ma in tonneau e non in acciaio. è uno zibibbo secco. ha fatto la malolattica, a differenza del #3 [annata 2015].
[n.d.a.: riassaggiato poche sere fa in altra sede da bottiglie non in commercio, quelle con le fecce, il #4 è risultato non buono: deppiù].
per ultimo il microcosmo, perricone dell’annata 2014, da terreni argillosi. [“il perricone è un vino di creta”. altrove, dove le argile sono rosse, viene chiamato pignatello, prendendo il nome dalle pentole di terracotta: le pignatte]. assaggiato in doppia versione, una dalla bottiglia [non a canna] e l’altra da un bicchiere aperto al mattino e lasciato respirare fino al pomeriggio. differenza impressionante tutta a favore del secondo.
alto, capello pettinato all’indietro, ingrassato [anche il capello], barba, abito, camicia chiara, sigaretta elettronica in mano.
in un anno morichetti è passato da attore porno anni ’80 a produttore di film hard.
lo capisco. si fatica di meno, si guadagna di più.
due chiacchiere sullo stato del mercato del vino on-line e mentre siamo lì sopraggiungono altri intravinici: pietro, fiorenzo, giovanni e sara, l’unica che ancora non conoscevo di persona.
terre di pietra. c’è una garganega senza etichetta. poche bottiglie da una selezione, viificata a grappolo intero, alla quale stava lavorando laura.
non la ho conosciuta, sento parlare di lei da tanti e sono solo parole belle.
a pennarello sulla bottiglia c’è scritto L/0. ho saputo poi che quello è il nome dato al vino: elle zero.
tutto molto ben fatto, rossi notevoli. il valpolicella superiore classico mesal 2012 e così pure l’amarone classico rosson 2010.
mi innamoro del vigna del peste 2014, valpolicella superiore [in cemento].
da san biagio vecchio c’è il sorriso luminoso di lucia [il sorriso lucinoso. ahem], produttrice insieme ad andrea non solo di vino: dal loro gentilrosso, varietà di grano antico la cui bontà è inversamente proporzionale alla produttività, ottengono una farina che, posso testimoniarlo, dà ottimi risultati anche in panificazione.
l’albana di romagna è vitigno che si fa strada, ne incontro sempre di nuovi. qui assaggio la versione 2015 del sabbia gialla, così detto perché la sabbia su cui crescono le trentennali viti è di quel particolare e inusuale colore. ce ne è un campione sul tavolo. selezione massale e tre passaggi vendemmiali, per assecondare tre diversi momenti di maturazione dell’uva. gran bella beva, con sentori di pesca e di miele e con una mineralità, manco a dirlo, sabbiosa.
in zona, grazie sicuramente anche al tipo di terreno, ci sono ancora vigne a piede franco. lucia mi parla di un paio di filari gestiti da don antonio, il parroco.
anche qui lavorano molto bene. ottimo il sangiovese oriolo 2013. mi incuriosisce il montetarbato 2016 [campione], fatto con uve centesimino, delle quali fino ad oggi non conoscevo l’esistenza. molto floreale, quasi aromatico.
saluto andrea occhipinti e provo un paio di campioni [tra i quali un promettente alter alea 2016, bianco bevuto qualche volta e che mi era piaciuto un mese fa nella versione 2015] e passo a damiano ciolli, suo vicino di fivi.
avevo scritto del mio recente interessamento per i vini laziali. beh, li apprezzo sempre di più.
bellissima la maglietta di damiano, con il cavernicolo clavomunito e la scritta cesanese rules.
due vini. il silene 2015, da piante giovani, al solito è bevibile ed elegante. il cirsium 2013 spacca, come avrebbe detto mia nonna. da una vigna piantata nel 1953 “a conocchia”, sistema di allevamento ora abbandonato [le viti a conocchia possono ricordare le tende degli indiani di tex willer], perché troppo faticosa è la lavorazione. un anno di botte grande e un anno e mezzo di bottiglia.
– ma fino al 2009 usavo barrique. ogni anno cambio.
da poggio delle grazie vado ad assaggiare il loro bardolino, consigliato dal venerabile fabio rizzari prima sulle pagine dell’internet e poi nel libro vini da scoprire. fresco, salato, vivo, di bel corpo, non stanca, è molto buono, costa poco.
tornato a casa ne ho presto ordinata una cassa.
poi.
camillo favaro. i suoi erbaluce sempre buoni, ce ne è una piccola carrellata. promette benissimo il le chiusure 2016 [campione]. conferme dalla freisa F2 2015, che avevo assaggiato con gusto a settembre 2016.
e finalmente provo il rossomeraviglia. syrah 2015.
– perché si chiama rossomeraviglia?
– [censuracensuracensura]
– ah, ecco!
c’è corrado dottori al banco de la distesa. ci salutiamo ma questo non è posto per parlare di politica. quindi assaggio tutto.
terre silvate 2016 [campione], verdicchio “con quota confidenziale di trebbiano”, si conferma ogni anno. qualche volta più corposo, qualche altra più leggero, sempre buono.
gli eremi 2015 è di nuovo una bellezza. avevo trovato un po’ sottotono il 2014, dopo l’esplosione rappresentata dal 2013. qui il livello è di nuovo altissimo: mineralità, freschezza, pienezza, lunghezza del gusto.
forse il complimento migliore che posso fare a corrado è questo: i suoi vini seguono sempre l’annata.
un salto veloce da guido e igiea di tenuta grillo per un saluto e due assaggi. monica, che mi accompagna si attacca subito con guido. uno spasso, due belle persone di carattere.
intanto il cortese macerato baccabianca 2010 mi piace un granbelpo’.
analogo granbelpo’ per un vino diversissimo: il fieno di ponza 2016 di antiche cantine migliaccio. fiori e sale, sale e fiori. una goduria al cui papà, l’enologo vincenzo mercurio, posso finalmente stringere la mano.
non c’è vinitaly senza rizzi.
ripeto cose già dette, sono di parte. però i barbaresco di enrico & jole sono tra i tre o quattro che preferisco fin da quando li ho conosciuti.
top della degustazione il nervo 2014 [e pure il 2013] e la riserva boito 2011.
corri corri, chiudono la fiera.
da vietti c’è luca. cinque barolo 2013 [e un barbaresco, il masseria, che esce in commercio insieme ai cugini, medesima annata: mi è piaciuto molto] che non andrebbero bevuti di fretta, ma tant’è.
la serie è: castiglione, brunate, lazzarito, ravera, rocche di castiglione
– è un’annata accademica. non voglio dire grande, ma è un’annata che dà significato ai terroir.
luca nega la premeditazione, ma è stato bravo a proporre una sequenza dei vini in progressione, che conferma le sue parole esaltando, anche per contrasti, le differenze tra le vigne.
chiude con il rocche, probabilmente il vino più buono della batteria, il più equilibrato, almeno in questo momento.
dice monica:
– rocche è sempre equilibrato. è come un ragazzino nobile che esce, elegante, con la sua giacchetta.
mentre mi avvio all’uscita realizzo che per la prima volta in tanti anni a verona l’ultimo assaggio della giornata non è stato al banco di san giusto a rentennano.
fu la folgorazione del mio primo vinitaly.
ripenso a tutti i consigli che non sono riuscito a seguire oggi, faccio una telefonata di ringrazio. esco. in stazione vado a piedi. la calca delle navette non mi piace e, sopratutto, camminare mi aiuta a riprendere coscienza dell’esistenza di un mondo esterno.
per il treno c’è tempo. perso il percarlo, non mi pare il caso di perpetuare anche l’altra tradizione veronese: mcdonald’s in stazione con contorno di bruciore di stomaco fritto nel suo grasso.
vago nei dintorni alla ricerca di non so nemmeno io cosa.
mi salva la vita damiano ciolli.
lo incrocio sulla strada verso il suo albergo. mi indirizza in un locale/bar/vineria/paninoteca che ha prodotti di qualità.
vigliacco se mi ricordo come si chiama.
mi faccio due panini. pane discreto ma migliorabile, salumi da serie a. coppa, mortadella e necessaria birra di accompagno.
il treno mi aspetta, ci dormirò bene.
e bressan?
da bressan vado la domenica e fulvio non c’è. faccio qualche domanda cretina alla moglie jelena:
– servite i bianchi a temperatura ambiente per scelta o non vi hanno dato il ghiaccio?
– no, vanno bevuti così. non è una scelta, ma una necessità.
verduzzo 2013 è, al solito, vino da prendere.
intanto arriva fulvio.
schioppettino [2011] sempre molto buono. anzi buonissimo. vero è che non ricordo uno schioppettino di bressan che fosse meno che buono.
il pignol 2003.
frutta matura, anche macerata, tabacco, cioccolato al latte, cenere, carruba, spezie, cazzi e mazzi. tanti profumi terziari che si rincorrono senza sudare, senza stancarsi, senza lamentarsi. nel bicchiere il vino ha un colore che è proprio mattone. lo fisso e mi chiedo se mi sta prendendo per q.
forse sì: in bocca la freschezza è insospettabile, la persistenza è eterna. se volessi fare lo stronzo direi che l’alcol straborda un poco. ma chissenefrega dell’alcol.
vino sbalorditivo.
– come può essere così fresco dopo quattordici anni?
– sono le viti, hanno 60 anni. non abbiamo irrigato nonostante il caldo.
ho ringraziato fulvio baciandolo.
ma non pensate male.
mica sulla bocca.
[non per spaventare. tuttavia. se vi siete sciroppati tutto il pezzo e siete arrivati in fondo, avete qualche problema. serio.
ancora peggio se volete pure vedere le foto. comunque qualcuna la potete trovare qui. o anche qui. e pure qui].