“Era una delle tante giornate grigie di Milano, però senza la pioggia, con quel cielo incomprensibile che non si capiva se fossero nubi o soltanto nebbia al di là della quale il sole, forse.”
l’anacronistica prosa borghese di buzzati mi accompagna fin dentro milano, città dove vado troppo poco [o troppo?]. l’incomprensibile cielo, tuttavia, di sabato mattina non c’è e il sole è una certezza.
sono con luigi, faccia piemontese della distribuzione glu-glu wine [quella lombarda è mauro]. abbiamo fatto il viaggio tra un colpo di tosse e una soffiata di naso, ché il ragazzo non si prende cura di sé. per tutto il tempo abbiamo parlato di vino, come si conviene a gentiluomini agée e ormai [quasi] dimentichi dei piaceri della carne.
tra le manifestazioni che fioriscono in giro per l’italia, tendo a frequentare quelle che si svolgono più vicino a casa mia. non è pigrizia, è proprio quieto vivere familiare. il livewine è una delle migliori: i produttori presenti sono validi, il luogo è spettacolare, gli spazi per muoversi sono ampi, la luce [specie quando fuori c’è il sole] è ideale, la temperatura interna è buona e gli addetti allo svuotamento delle sputacchiere sono rapidi, solerti, efficienti. [quest’ultima cosa sembra una cazzata. e invece no].
siamo alla terza edizione di questo salone della viticoltura artigianale. la sede, immutata, è il palazzo del ghiaccio di via piranesi, introvabile senza un navigatore, trovato grazie al navigatore. [bisognerebbe scrivere un post sull’assurda ragnatela urbanistica milanese, sui sensi unici, sulle rotonde con semaforo, sulle strade circolari, sulle strade a gomito spezzato. ma lascio onore ed onere a qualcun altro, meglio se milanese]. ero stato alla prima edizione, e ne avevo scritto qui, mi ero perso la seconda, lo scorso anno, per un malanno inopportuno. e così niente degustazione, debitamente prenotata, della birra tra le birre: la cantillon.
tanta gente sia sabato che domenica [i numeri finali parleranno di circa 4.500 visitatori complessivi, tra privati e operatori] e anche alcuni appuntamenti di degustazione parecchio interessanti, guidati da samuel cogliati.
cosa ho fatto in due giorni scarsi.
che dire dei soliti noti, che assaggio sempre e con i quali c’è un rapporto amichevole quando non amicale? li assaggio sempre perchè sono buoni. ma sono credibile? rocco di carpeneto, podere orto, daniele ricci, ezio cerruti, francesco guccione e così via.
alle fiere si va per farsi un’idea e per divertirsi. le degustazioni “serie” vanno condotte con calma, in controllo della temperatura dei liquidi. da seduti. difficile vedere [comprendere] le sfaccettature di un vino tracannandolo in piedi, senza aspettare le sue auspicabili evoluzioni nel bicchiere, spostandosi da un banco all’altro, magari distratti da una coscia, da un sorriso. [persino da un culo]. mi risulta difficile parlare nel dettaglio dei vini assaggiati. [faccio un’eccezione per dire a sara che l’abbinamento dei salumi di valli unite con quella croatina 2011 che non ne voleva sapere di terminare la fermentazione e infatti conteneva il suo bel residuo zuccherino era perfetto. passo dopo a mettere le virgole].
dirò che a milano ho intercettato il professor venturelli, che si aggirava tra i banchi e che ho rispettosamente salutato. è lui l’artefice del vino più buono [più emozionante] da me bevuto nel 2016. non conoscete il professor vincenzo venturelli? è uno che fa il vino e non lo vende. essì, succede anche questo. per saperne di più potrete presto leggere “tutti lo chiamano lambrusco”, il libro di camillo favaro di prossima pubblicazione.
a milano c’era anche casa caterina. quando da lontano si vede aurelio del bono, grande e grosso, si deve per forza passare da lui. la sua sterminata produzione gli consente di portare in fiera sempre qualcosa di nuovo, di non ancora provato. bolle, ma anche bianchi, rossi e rosati. lui è instancabile, nonostante la ressa. parla con tutti, ti fa assaggiare tutto. io ogni volta ne esco travolto. ogni volta mi allontano dal suo banco frastornato, senza avere capito un cazzo. [ma che buoni. tutti].
poi, per fare una cosa ragionata, ho girato per gli stand laziali [ma zeppi di romanisti]. ancora oggi quando al ristorante propongo di prendere un vino laziale c’è qualche amico che sfotte. eppure non sono più i tempi di gotto d’oro. il lazio è una zona da tenere presente. citare andrea occhipinti, che in pochi anni ha raggiunto una maturità di stile che ne fa punto di riferimento, è diventato ovvio. e lo stesso si dica di damiano ciolli, che ha fatto conoscere le potenzialità del cesanese fuori dai confini regionali. anche altri si muovono bene. ribelà, ad esempio, è un’azienda molto giovane, della quale avevo scordato il nome, che si avvale della collaborazione di danilo marcucci. di marcucci avevo parlato su queste pagine tempo fa, un vero talebano della vinificazione naturale. eppure i risultati sono notevoli: come deve essere un vino naturale? pulito, bevibile, buono. ecco.
infine giuliano e simona, mano e cuore di podere orto [chi è la mano dei due? chi è il cuore? io lo so, ma non lo dico], una realtà anch’essa giovane che già produce vini del cuore, come li chiamerebbe vittorio.
[a ripensarci ora, non credo che sia una caso che almeno tre delle quattro cantine citate sono condotte da vignaioli che arrivano alla terra da altre strade professionali].
mi piace, nel nome dato alla manifestazione, la scelta di mettere in risalto l’artigianalità: il salone del vino artigianale. in una città industriale è quasi una dichiarazione di intenti. artigianale è un aggettivo sottovalutato in relazione al vino, quali che siano le posizioni di ognuno. naturale è invece termine che abbandonerei volentieri e che utilizzo solo per semplicità di comunicazione. un po’ perché se ne abusa ed è diventato fonte di polemiche da tifosi di calcio e di litigi furibondi, un po’ perché, se ci si pensa, ha poco senso. il vino naturale non esiste. esiste l’uva naturale, certo. ma non c’è vino senza l’intervento dell’uomo, per quanto minimo. anche i grappoli di viti selvatiche hanno bisogno di un uomo che li raccolga e li sprema [in un contenitore pulito, grazie]. se non ci fosse l’uomo quel liquido diventerebbe aceto, non vino.
non se ne esce, la natura è fatta così: è una stronza.
[c’era molto altro, a milano.
in attesa della prossima edizione, chi vuole può dare un’occhiata alle FOTO che avevo scattato allora].