quando l’auto su cui viaggi viene colpita da un’altra auto su cui viaggia uno che probabilmente ha perso la capacità di frenare con efficacia causa lieve abuso alcolico [vinaccio di sicuro] e che però a rigore non ha del tutto torto, quando questo evento si verifica in un giorno nel quale l’umore è percorso da una sottile ansia, la cosa migliore da fare è tornare a casa e percorrere in discesa le scale che portano alla cantina alla ricerca di una bottiglia di quelle buone.
in questi casi “quelle buone” significa “quelle cui voglio bene”.
il mondo è pieno di vini buoni o grandissimi. è molto meno pieno di vini che dissodano il terreno interiore. rivelando qualcosa che può essere un ricordo, una familiarità o, semplicemente, una sorpresa.
queste caratteristiche si ritrovano a volte anche tutte assieme nei vini a base di nebbiolo.
[lo so, sono di parte].
così succede che, mentre mi stavo decidendo tra un lessona 2006 di proprietà sperino e un barbaresco pajorè 2005 di rizzi, la mente mi è caduta sul gattinara riserva 2006 di travaglini.
che è la bottiglia che ho portato sopra, in casa.
travaglini è l’azienda più importante di gattinara.
non si offenda nessuno.
è importante per il nome e per l’estensione dei vigneti. per anni travaglini è stato il produttore di riferimento per tutto il territorio e per buona parte di quello che chiamiamo nord-piemonte.
è importante per la qualità dei vini. una garanzia. per ogni annata che ho assaggiato, quale che fosse il vino (riserva, “base”, tre vigne), non ho mai potuto pensare un aggettivo che non fosse almeno: buono.
è importante per la storia e per la tradizione. giancarlo travaglini più di cinquant’anni fa si inventò una bottiglia la cui forma particolare doveva servire, versando, a trattenere all’interno i sedimenti lasciati dal nebbiolo. sicuramente lo fece anche per dare maggiore riconoscibilità e appartenenza territoriale ai suoi vini. quella bottiglia è ancora usata per tutti i gattinara aziendali, anche se la sua forma negli anni è stata resa più moderna e il vetro scelto è oggi satinato. basta entrare in una qualunque enoteca per riconoscere da lontano le bottiglie di travaglini.
oggi giancarlo non c’è più, ma il suo lavoro continua. e i suoi vini sono sempre buonissimi.
a volte straordinari.
dicevo del riserva.
nebbiolo al 100%, è prodotto solo nelle annate che vengono ritenute favorevoli. deriva da selezione delle uve di nebbiolo nei migliori vigneti di proprietà, con rese abbastanza contenute: inferiori ai 65 quintali per ettaro. la vinificazione è effettuata separatamente rispetto agli altri gattinara prodotti e il vino riposa almeno tre anni in botti di rovere oltre a uno in bottiglia prima di essere posto in commercio. i terreni collinari (il disciplinare di produzione della docg, del 1967, vieta la denominazione per le uve coltivate a fondo valle) sono quelli tipici del luogo: calcarei e rocciosi con tracce di porfido e altri minerali.
l’ho stappato circa un’ora prima di andare a tavola. quindi io e la signora ci siamo impegnati a godercelo, studiandolo, tra la cena e il pranzo del giorno dopo.
abbinamento riuscito con la polenta integrale, sia condita con il gorgonzola che con lo spezzatino.
[buonissimo lo spezzatino: brava].
ragionandoci su, è venuto fuori che.
il colore è meraviglioso. granato limpido e cristallino, luminoso e trasparente.
al naso è una progressione continua e in continuo mutamento. quasi timido nell’intensità appena stappato, si percepisce invece forte e complesso dopo adeguata ossigenazione.
è una complessità che spazia dal regno vegetale a quello animale, passando per il tramite del minerale.
subito viola e rosa, con delicate note balsamiche in sottofondo e una lieve speziatura. quindi buccia di mandarino, tamarindo, radice di liquirizia, note gessose.
il tutto è completato, in piena armonia, da una elegante sensazione animale che si fa interprete e sostegno di tutte le altre descritte.
una sensazione di pellame, non cuoio. come di una custodia di pelle, vuota ma che ha contenuto tabacco dolce.
[però sentore di fagiano, che è la minchiata che ho detto a tavola, faceva più ridere].
[però sentore di fagiano, che è la minchiata che ho detto a tavola, faceva più ridere].
il tamarindo, poi. lo ritrovo spesso nei nebbioli coltivati in difficili condizioni di maturazione. che sia gattinara o valtellina. è anche una questione affettiva.
perché mi ricorda di quando, ero bambino, affondavo le mani nel vassoio dove mia madre teneva le caramelle baratti cercando quella con la scritta marroncina.
in bocca il vino è giovane.
i tannini sono impastati nella massa, ma si sentono eccome, come volessero proteggere il vino. ma, l’ho detto, sono di parte, e i tannini del nebbiolo quando sono maturi mi piacciono anche bambini, anche quando mi prendono a schiaffi. e non è questo il caso.
in bocca si muove con agilità e pure pienezza, ben sorretto in equilibrio da acidità e alcol. la sensazione pseudocalorica è notevole (i gradi dichiarati sono 13,5), non invasiva bensì corroborante.
e in bocca resta, confermando al gusto quel che aveva promesso al naso, per molto, molto tempo dopo la deglutizione.
è un vino che farà strada. probabilmente sarà al suo meglio fra quattro o cinque anni, ma durerà sicuramente ben più a lungo.
sono contento di averne ancora una bottiglia in cantina.
per poterlo ritrovare in futuro, in occasioni migliori.