– come mai se si parla di vini piemontesi in toscana si avverte un rispetto nei loro confronti, mentre il viceversa non accade?
– beh, il toscano non è sempre simpatico
[voce dal pubblico] – invece col piemontese te ammazzi de risate

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lamole è una piccola frazione di territorio chiantigiano, nei pressi di greve in chianti. settanta ettari vitati sui 7.000 della denominazione, poche aziende con il colosso santa margherita [marchio: lamole di lamole] a fare la parte della panthera leo.
di quei settanta ettari ai fabbri ne toccano 10. fabbri è il nome dell’azienda condotta da susanna grassi [che per tutta la serata nella mia testa è stata, alternativamente, susanna grassi e susanna fabbri] ed è il nome della zona, anticamente sede di botteghe dove si lavorava il ferro. erano fabbri anche gli antenati della famiglia grassi: l’antica officina è oggi sede della cantina. il primo documento ufficiale che attesta la produzione di vino della famiglia è del 1620. è il contratto di acquisto della vigna la sala, tuttora di proprietà.
susanna grassi è una donna con capelli bellissimi e toscani, lunghi e lisci. fa girare tra i tavoli un piccolo album contenente fotografie di famiglia, vecchie etichette, immagini dei luoghi e delle persone. sorride. ha una voce calda e tranquilla [educata] che usa con precisione anche lessicale, senza sbavature né tentennamenti, per dire cose. racconta.

“faccio vino dal 2000: quella è stata la mia prima vendemmia. diventare vignaiola era il mio sogno fin da bambina. all’epoca, con mio nonno, si lavorava tutto a mano, non c’erano le macchine, e tutto era tenuto come un giardino. avevo questo ricordo di un posto così, che reclamava attenzione. e ci sono tornata.
il 2000 è stato l’anno di svolta. mi sembrava un buon anno per cambiare vita. dopo la laurea in economia avevo intrapreso un lavoro di carattere commerciale. mi ero avvicinata al vino da quel lato: un compagno di studi aveva aperto un’importazione negli stati uniti e mi chiese aiuto. fu un’esperienza molto importante, che mi è servita molto. nel 2000, poi, mi sono sposata e ho riaperto il cassetto dove avevo messo il sogno di bambina. era un rischio. se non ce l’avessi fatta pensavo che avrei avuto in qualche modo le spalle coperte, economicamente, grazie a mio marito. la paura c’era, ché l’attività agricola è un’attività a lungo termine nella quale la bottiglia è solo l’ultimo passaggio. e poi bisogna anche venderla. eppure avevo la consapevolezza di potere riprendere in mano l’antica azienda di famiglia, che al tempo era stata affittata.
bisogna fare vino, ma bisogna anche fare quadrare i conti, essere pragmatici. perché le poesie sono belle, ma le poesie poi finiscono”.

lamole è una zona ancora poco conosciuta. i vigneti stanno per la maggiorparte tra i 550 e i 700 metri slm, il che spiega in parte la finezza del sangiovese che ne deriva. i vini di lamole sono meno intensi rispetto a quanto ci si aspetta [credo] da un chianti, sia nel colore che nella concentrazione [che brutta parola] in bocca. c’è meno cinghiale nel bicchiere, sia crudo di pelo che cotto di ginepro, sostituito da petali di rosa, pepe, lamponi. dice susanna che il chianti è ricco di zone peculiari, che darebbero e a volte danno vini molto diversi tra loro. non si arriva alle diversificazioni dei climat della borgogna, ma dopo anni in cui il chianti, che è il vino italiano più famoso al mondo, aveva preso derive commerciali che hanno rischiato di svilirne l’identità, oggi si comincia a parlare di zone e sottozone. è una cosa buona.

– come pensi che debba essere fatto il chianti? ci sono tanti chianti classico diversi: quelli potenti, quelli fini, quelli rustici… secondo te qual è l’identità del chianti classico?
– posso rispondere solo per me, con quello che è il mio vissuto. credo che la caratteristica che il chianti debba avere sia la bevibilità. la vita è già complicata di suo.

i vini della serata sono tre chianti classico, tutti segnati dal marchio della freschezza. mi sono piaciuti molto. il primo è quello che forse dà maggiormente conto della particolarità della zona.
LAMOLE 2016. dai vigneti posti più in alto, dove ci sono le piante più giovani. l’etichetta replica quella originale del 1920, a rimarcare appartenenza e tradizione. vino che risponde perfettamente alla caratteristica programmatica di bevibilità di cui sopra. naso speziato e di fiori rossi, bocca cristallina, che scorre felice e chiama il prossimo sorso. con l’eco.
TERRA DI LAMOLE 2015. vigne basse, le più vecchie. fino al 2005 nel chianti classico erano ammesse, in piccole quantità, anche varietà di uve bianche. era la tradizione dei contadini della zona, che si trovavano uno o due filari di malvasia o trebbiano in mezzo a quelli di sangiovese. oggi non si può più e io dico purtroppo. il terra di lamole è una base sangiovese con un piccolo saldo di canaiolo. un anno di affinamento per metà in cemento e per l’altra metà in tonneau.
I FABBRI 2013 RISERVA. “è il primo vino che ho fatto e all’inizio lo pensai come si facevano i vini allora: concentrati, spessi, carichi. gradatamente ho cambiato prospettiva in tutti i miei vini. nel 2003 ho fatto il primo terra di lamole, spogliandolo un po’ dal legno. poi nel 2008 il primo lamole, che fermenta in inox e che di legno ne vede proprio poco”.
il primo giorno di vendemmia si selezionano i grappoli per la riserva da tre vigne: una della fine degli anni ’60, una del 1984 e una del 2002.
quest’ultima era una vigna abbandonata, terrazzata ad anfiteatro. bellissima. i muri a secco avevano [hanno] la duplice funzione di immagazzinare il calore del sole di giorno restituendolo al terreno di notte e di evitare il dilavamento, ché la terra lì è finissima, quasi sabbiosa. la riserva se ne sta un anno in tonneau di rovere francese [allier, che ha un legno più dolce: “per tradizione nel chianti si usava la botte di castagno, che è il legno che si trova comunemente in zona. ora è quasi impossibile, non ci sono più nemmeno i bottai”] per poi passare in bottiglia. le botti vengono usate più volte negli anni, facendo anche una decina di passaggi. non servono per arricchire il vino, servono per affinarlo.

“non è stato facile, ma oggi sono contenta di essermi lanciata, di avere realizzato il mio sogno di bambina. certo, se mio padre mi avesse avvisata, se mi avesse detto la verità su cosa mi aspettava, ci avrei riflettuto più a lungo. forse avrei rinunciato. invece è andata bene e posso contribuire a ridare dignità al mio territorio.
i tasselli nella vita si ricompongono”.

e la leggiadria?
la leggiadria non si spiega: si beve.

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[la serata, appuntamento mensile per me irrinunciabile, “a noi, filibustieri!” al molo di lilith, in torino è del 15 maggio scorso. voci fuori campo: marco arturi e max chenonsocomefadicognome].